Ecco come il grande scrittore americano parla dell'invenzione di Daguerre, appena un anno dopo la diffusione della notizia:
La parola si scrive Daguerréotype, e si pronuncia come se fosse scritta Dagairraioteep. Il nome dell'inventore è Daguerre, ma il francese richiede l'accento sulla seconda… Lo strumento stesso va senza dubbio considerato come il più importante e forse il più straordinario trionfo della scienza moderna. Non abbiamo qui lo spazio per ripercorrere la storia dell'invenzione, la cui idea originaria deriva dalla camera obscura, e anche i dettagli del processo fotogenico (dal greco disegnare con la luce) sono troppi per essere descritti ora. (...) Ogni linguaggio è insufficiente
E' il 6 gennaio del 1839 quando il quotidiano parigino "Gazette de France" annuncia l'invenzione della fotografia. Ecco alcuni passi salienti dell'articolo:
"Annunciamo un’importante scoperta fatta da Monsieur Daguerre, celebre pittore del Diorama. Questa scoperta sembra un prodigio. Sconvolge tutte le teorie sulla luce e l'ottica e promette di fare una rivoluzione nelle arti del disegno.
M. Daguerre ha scoperto un metodo per fissare le immagini che si dipingono da sole dentro una camera oscura, in modo che queste immagini non sono il riflesso temporaneo dell'oggetto, ma la loro impronta fissa e durevole, che, come un dipinto o un’incisione, non ha più bisogno della presenza dell’oggetto. Immaginate la fedeltà dell'immagine catturata dalla camera oscura e aggiungete ad essa l’azione dei raggi solari che fissano questa immagine, con tutte le sue gradazioni di luci, ombre e mezze tinte, e avrete un’idea dei bei disegni con i quali M. Daguerre ha gratificato la nostra curiosità. Il suo procedimento richiede una lastra di metallo lucido… I signori Arago, Biot, e Von Humboldt, hanno accertato la veridicità di questa scoperta, che ha suscitato la loro ammirazione e sarà proprio Monsieur Arago a farla conoscere fra pochi giorni all'Accademia delle Scienze…. Natura morta e architettura sono il trionfo dell’apparecchio che M. Daguerre intende chiamare con il suo nome: Daguerotype. Un ragno morto, visto al microscopio solare, mostra un tale dettaglio che si può studiare la sua anatomia, con o senza una lente di ingrandimento, come se fosse la natura stessa. Non c’è una fibra, non un vaso che non si possa seguire ed esaminare. Per qualche centinaio di franchi i viaggiatori potranno presto procurarsi un apparechio di M. Daguerre e riportare vedute dei monumenti più belli e dei più deliziosi scenari di tutto il mondo. Vedranno quanto lontano le loro matite e pennelli sono dalla verità della Daguerotype. Ma i disegnatori e i pittori non si disperino: i risultati ottenuti da M. Daguerre sono molto diversi dalle loro opere, e, in molti casi, non possono sostituirli…"
LO STUDIO DELLA LUCE E DEI FENOMENI OTTICI, PRIMA DELL'INVENZIONE DELLA FOTOGRAFIA
L’invenzione della fotografia venne ufficialmente attribuita a Louise Daguerre nel 1839 ma non fu certamente frutto dell’intuizione repentina di un genio bensì l’esito di studi, ricerche e sperimentazioni nei campi dell’ottica e dell’alchimia (poi diventata “chimica”), iniziati diversi secoli prima del 1839. Sentite cosa diceva intorno al 1500 Leonardo da Vinci sul “foro stenopeico”, il primo congegno ottico in grado di produrre un’immagine, per quanto effimera, della realtà:
“...dico che, se una faccia d’uno edifizio o altra piazza o campagna che sia illuminata dal sole, arà al suo opposito un’abitazione, e in quella faccia che non vede il sole sia fatto uno spiraculo rotondo, che tutte le alluminate cose manderanno la loro similitudine per detto spiraculo e appariranno dentro all’abitazione nella contraria faccia, la quale vol essere bianca, e saranno lì appunto e sottosopra, e se per molti lochi di detta faccia facessi simili busi, simile effetto sarebbeper ciascuno...”
Settant’anni dopo, nell’anno 1569, il veneziano Daniele Barbaro, docente presso l’università di Padova e autore di un trattato sulla prospettiva (“La pratica della perspettiva”), descrive l’uso della lente convergente biconvessa e della “camera oscura” (in questo caso una stanza) per ottenere immagini disegnate con molta precisione. Ascoltiamolo: “... serra poi tutte le finestre, e le porte della stanza, finché non vi sia luce alcuna, se non quella che viene da vetro, piglia poi uno foglio di carta, et ponlo incontra il vetro tanto discosto, che tu veda minutamente sopra 'l foglio tutto quello che è fuori di casa, il che si fa in una determinata distanza piú distintamente. Il che troverai accostando, overo discostando il foglio al vetro, finché ritroverai il sito conveniente. Qui vi vedrai le forme nella carta come sono, e le digradationi, e i colori, e le ombre, e i monumenti, le nubi, il tremolar delle acque, il volare degli uccelli, e tutto quello che si può vedere... vedendo dunque nella carta i lineamenti delle cose, tu puoi con un penello segnare sopra la carta tutta la perspettiva, che apparerà in quella e ombreggiarla, e colorirla teneramente, secondo che la natura ti mostrerà, tenendo ferma la carta fin che haverai fornito il disegno...”
Con "Citazioni d'Autore" do il via ad un'altra rubrica che, di volta in volta, vi proporrà frammenti del pensiero di fotografi e "pensatori" in ambito fotografico che hanno segnato in varia misura la storia della fotografia.
Mi piace iniziare con un profetico testo, estratto dall'opera di Charles François Tiphaigne de La Roche (1722 – 1774), medico e scrittore francese che nel 1760 pubblica in maniera anonima un romanzo utopistico intitolato Giphantie. Nella sua fantasiosa opera l'autore preconizza in maniera sbalorditiva l'invenzione della fotografia, mostrando in tal modo quanto quell'invenzione fosse attesa e in gestazione già molto tempo prima che Niepce producesse le sue prime "eliografie", negli anni '20 del secolo successivo.
Scritto da Adriano Frisanco il . Pubblicato in Riflessioni.
La fotografia è un linguaggio molto flessibile, adattabile a diverse esigenze di comunicazione. Così come la lingua, scritta o parlata, si può impiegare per stendere un atto notarile, per raccontare un’avventura o comporre una poesia ermetica, analogamente la fotografia si presta, condiscendente, a riprodurre fedelmente le opere di un pittore, ad illustrare un catalogo di ferramenta, a raccontare per immagini un viaggio o a farci sognare attraverso la magia di forme, colori e chiaroscuri. La storia della fotografia, lunga quasi due secoli, ci mostra la sua evoluzione, non solo nelle sue componenti tecnologiche ma, soprattutto, nella sua funzione sociale. Compiendo un acrobatico salto dal 1839 al 2023 si possono notare, fra tanti altri, due ambiti nei quali è più vistosa la sua trasformazione. Il primo riguarda l’enorme moltiplicazione della platea di utenti, passivi e attivi. Oggigiorno miliardi di persone in tutto il mondo vengono in contatto, volenti o nolenti, con la fotografia. E miliardi di persone producono quotidianamente miliardi di fotografie. È abissale la sproporzione fra la diffusione dei primordi e quella attuale.
Il secondo riguarda lo scopo della fotografia. Fino a non molti decenni fa la funzione più comunemente svolta è stata quella di “mostrare” le cose e, quando ancora non esisteva la televisione, era l’unico mezzo disponibile per farlo. Oggi la televisione e, ancor di più, la rete Internet ci mettono a disposizione una mole incommensurabile di immagini, che illustrano ogni oggetto, ogni luogo, ogni cosa possiamo immaginare. Davanti ai nostri occhi hanno ormai sfilato tutti i tramonti di tutti i continenti e di tutte le latitudini, tutti i fiori che sbocciano sulla superficie della terra, le facce di tutte le etnie, gli abiti, i cibi, le case, le pietre le dune e gli oceani: come dire che non abbiamo più l’urgenza di scoprire la fattezza delle cose che animava l’umanità fino a pochi decenni fa. La conseguenza, per la fotografia, è un tendenziale cambio di funzione, che passa dal mostrare le cose a mostrare sé stessi, la propria soggettività, la propria sfera esistenziale. Naturalmente la fotografia, almeno quella “ottica”, ottenuta attraverso la classica sequenza luce > riflessione > cattura, fa ancora uso della realtà materiale ma non è più strumento al suo servizio bensì al servizio di chi la produce. Per un numero sempre maggiore di praticanti, non conta più mostrare la forma dell’oggetto bensì la forma del proprio sentire, del proprio rapporto con l’oggetto. È uno stravolgimento del ruolo tradizionalmente svolto dalla fotografia che porta nella direzione della produzione artistica (non parlo degli esiti ma delle intenzioni). E la tecnologia aiuta molto questo scostamento di intenti. Il passaggio al digitale, la diffusione e l’evoluzione dei software di postproduzione e, ultima arrivata, l’intelligenza artificiale applicata alla fotografia, rendono più facile e praticabile questo approccio “autoriale” alla produzione fotografica ma gli esiti concreti sono molto spesso banali. Basta passare in rassegna qualunque galleria pubblicata sui siti di condivisione e leggere i commenti per aver conferma di quanta ingenuità connoti sia le fotografie che i suoi spettatori: “sembra un quadro!”, “sei un vero artista!”, “straordinario questo ritratto!”. Si leggono commenti di questo tenore, suscitati da un filtro che altera i colori, oppure rende più poetica o più cruda un’immagine, o da un aumento spropositato della saturazione cromatica per rendere più ”vivo” un paesaggio o da un procedimento HDR per appiattire la gamma tonale, eliminando le ombre, viste come errori invece che componenti imprescindibili, e così via. La fotografia sta vivendo una straordinaria evoluzione, che sta smontando alcuni storici capisaldi cercando di crearne altri, ma sono convinto che abbia “le spalle larghe”, che sia capace di integrare vecchie e nuove funzioni, superando quel dubbio che da sempre l’angoscia: sono arte o sono ancella delle arti? E lo farà dicendoci: sarò arte in mano agli artisti, sarò documento per esservi utile, sarò passatempo per divertirvi, sarò ciò che volete che io sia…
DIARIO DI UN NEOFITA
Scritto da Adriano Frisanco il . Pubblicato in Riflessioni.
IMPARARE A FOTOGRAFARE diario immaginario di un neofita
8 gennaio 2019 Mi piace un sacco fotografare, è da quando avevo quattordici anni che scatto in continuazione, adesso ne ho ventitré e quindi fate il conto… Ho iniziato con uno di quei piccoli apparecchi tascabili, macchine compatte le chiamano, poi sono passato ad usare il telefonino, e l’anno scorso l’ho cambiato con l’ultimo uscito della mia marca preferita. Costicchia non poco ma fa delle foto da urlo. Almeno di giorno...
Una cosa però non l’ho ancora capita: perché non mi vengono tutte bene? Cioè, voglio dire, non è che mi vengano scure o mosse, è che spesso, come dire, è come se non fossero come le volevo io. Alla fine di dicembre, per esempio, ho fatto un po’ di foto a Civita di Bagnoregio, ma che schifo! Eppure è un borgo bellissimo! Per non parlare di quelle che ho fatto a Petra, la mia ragazza, che mi ha detto “se le pubblichi ti lascio”. Scherzava, certo, ma devo ammettere che l’avevo trattata male, fotograficamente s’intende. Quindi mi sono deciso e mi sono iscritto ad un corso di fotografia, inizia a gennaio, abbastanza vicino a casa mia, quartiere Flaminio, una mezz’oretta in Vespa.
15 febbraio 2019 Devo correre, se no arrivo in ritardo al corso. Beh, stasera siamo alla quinta lezione e facciamo riepilogo generale. Una cosa l’ho capita: che prima non sapevo una m…hia di cosa fosse la fotografia. Non che adesso mi sia tutto chiaro, anzi, ma non so, mi pare di essere entrato in un mondo sconosciuto, pieno di sorprese, anche di astruserie, ma soprattutto affascinante, tanto affascinante…
18 febbraio 2019 Ieri pomeriggio abbiamo fatto la prima esercitazione pratica. Che figo, ho scoperto perché Petra si era incazzata, maledetto zoom, li mortacci tua!
22 febbraio 2019 Beh, vedere le foto che abbiamo fatto tutti quanti è stato utilissimo. Un po’ imbarazzante, è come spogliarsi di fronte a tutti, ma poi ci ridi sopra, tanto sono tutti nudi, come quando i miei mi portavano in campeggio in Croazia. La storia dello zoom è incredibile, io l’ho sempre usato per ingrandire o rimpicciolire, che ne sapevo io di prospettiva e di angolo di ripresa! È incredibile come cambiano le cose se regoli lo zoom in un modo o in altro! Domani vado a provare per conto mio con Petra, sperando di non farla incavolare di nuovo.
22 marzo 2019 Che bello, le cose cominciano a essere chiare, e non solo per me, vedo anche tutti gli altri. Anzi le altre, sono quasi tutte ragazze, che gruppo splendido, ma io ho la mia Petra e non faccio pensieri strani… Abbiamo proiettato le foto dell’esercitazione sul paesaggio e siamo rimasti quasi sorpresi per quante belle foto abbiamo visto! L’insegnante ha detto che era tutto previsto, sarà ma comunque è bello constatare che qualcosa stiamo imparando!
2 aprile 2019 Cavolo, stiamo diventando dei grandi fotografi!!! Beh io ne ho scattata una durante l’ultima esercitazione che tutti mi hanno fatto i complimenti. Ma io credo che la migliore, almeno per me, è quella che ha fatto Agnese: è incredibile, una catapecchia cadente in fondo a una stradina sterrata, l’ha fatta diventare meravigliosa, un po’ malinconica ma meravigliosa. Ha ragione il nostro maestro quando ci dice che la bellezza di una fotografia la crea il fotografo e non il soggetto della foto!
17 aprile 2019 Oddio, ieri sera è finito il corso, e adesso? Meno male che Antonella ha creato il gruppo whatsapp, così restiamo sempre in contatto e poi c’è una cosa bellissima che ci ha proposto il maestro: faremo una mostra con le nostre migliori foto! Wow che figata! Comunque durante questo corso mi si è aperto un mondo nuovo, in cui c’è tantissimo da scoprire, ma non le faccende del diaframma e del tempo, maledetto lui che ogni tanto faccio ancora qualche foto mossa perché me ne dimentico. Il bello e la cosa più importante che ho imparato è che attraverso la fotografia puoi dire qualcosa di tuo, e lo puoi dire come vuoi tu. Adesso riguardo tutte le foto che ho fatto e scelgo quella per la mostra! P.S. Nei giorni scorsi ho cominciato a fare pulizia nelle cartelle delle foto, maronna santa quante porcherie sto buttando nel cestino…
AF
AL RITORNO DA MILANO
Scritto da Adriano Frisanco il . Pubblicato in Riflessioni.
Domenica 19 febbraio, con un piccolo gruppo di appassionate fotografe, sono andato a Milano a visitare due mostre fotografiche: quella dedicata a Paolo Monti, ospitata al Castello Sforzesco e visitabile ancora per qualche settimana e poi quella sul lavoro di Robert Frank intitolato "THE AMERICANS".
E, come sempre mi succede, le mostre e le stimolanti immagini che le compongono, me le porto a casa e me le appendo alle pareti virtuali della mia mente. Ripercorro la mostra di Paolo Monti con la precisa sensazione di aver capito, un ennesima volta (non si finisce mai di imparare!) cosa sia la fotografia in bianco e nero, la forza espressiva dei chiaroscuri, il gioco delle geometrie, la poesia di certi tenui grigi.
Quanto alla mostra "The Americans", che esponeva le 83 immagini scelte da Robert Frank per il libro che ha cambiato il modo di vedere l'America, non posso che accodarmi al coro di apprezzamenti che ha suscitato in tutto il mondo (negli Stati Uniti ci vollero alcuni anni prima che il suo lavoro fosse capito e accettato). La sincerità e l'assenza di artificiosità che emana il lavoro di Frank è una lezione su cosa possa trasmettere la fotografia di reportage quando è capace di rinunciare al narcisismo.
Qualche informazione sul alvoro di Frank: finanziato con una borsa di studio della fondazione Guggenheim, il trentunenne Robert, a bordo di una vecchia Ford in compagnia di moglie e figli, ha attraversato 48 stati, scattando la bellezza di 28.000 fotografie!
PENSIERO ED EMOZIONI
Scritto da Adriano Frisanco il . Pubblicato in Riflessioni.
Contributo di LORENZO SPETTOLI
Ferdinando Scianna, una piccola riflessione personale.
“La più grande ambizione di una fotografia è quella di fare parte di un album di famiglia”.
Questa citazione di Ferdinando Scianna mi ha sempre lasciato molto perplesso. Pur ragionandoci sopra, stentavo a capire come un fotografo del suo livello potesse davvero pensare che tutto ciò che si potesse sperare per una bella immagine fosse finire negli album che tutti noi abbiamo a casa. Ripensavo ai tanti album fotografici conservati a casa dei miei genitori, con le centinaia di istantanee scattate da mio padre con la sua vecchia Yashica a telemetro. Le rivedevo tutte, mentalmente, e rimanevo convinto del fatto che, molto probabilmente, nessuna di quelle fotografie potesse considerarsi realmente valida su un piano estetico, artistico, tecnico. E si tratta, in fondo, delle stesse identiche foto che si possono trovare nelle case di tutti quelli come me, nati e cresciuti negli anni '70 e '80: le feste di compleanno, attorniati da amici e parenti, le vacanze al mare, le gite in montagna, i primi giorni di scuola...foto ormai ingiallite dal tempo e da fissaggi scadenti. Continuavo ad interrogarmi sul motivo per cui un bello scatto dovesse non solo accontentarsi, ma addirittura ambire a finire tra composizioni amatoriali e messe a fuoco stentate.
Ma poi, piano piano, ho iniziato a capire. Ho realizzato che, senza quelle immagini, probabilmente non esisterebbe nemmeno il mio ricordo di quegli eventi. Guardare quelle fotografie, sfogliare e risfogliare gli album con le pagine che rischiavano di staccarsi, con la carta velina tra un foglio e l'altro, era come aprire una grande finestra sul mio passato: da quella finestra potevo ritornare immediatamente in certi luoghi, rivivere particolari e precisi momenti della mia vita, ritrovare persone di cui avevo perso ogni traccia. E ho capito che solo grazie a quelle immagini tutto ciò diventava possibile.
In un solo momento ero tornato in quella casa al mare dove con i nonni trascorrevamo il mese di Agosto, ecco che poi sentivo il pungere della lana dei maglioni fatti da mia zia. Infine c'era davanti a me mia sorella con la sua bicicletta rossa... Tutto questo era stato rimosso, o forse accantonato per bene in qualche angolo del mio cervello, ma era bastato aprire nuovamente quei raccoglitori per farlo ritornare, vero e quasi tangibile.
Ecco che allora quello che dice Scianna acquista un senso, diventa chiaro, lo faccio mio.
Mi immagino nel momento in cui, con la reflex in mano, cerco invano La Foto mi rivedo nella delusione che provo davanti al computer, una volta scaricati tutti i file, nel capire che nemmeno un buon lavoro di post produzione renderà al meglio quello che i miei occhi hanno visto...ma ecco che la lezione di Scianna un po' mi conforta, mitiga il disappunto che spesso si prova. E poi penso alle decine di giga occupate nei nostri computer da tutte le nostre fotografie, così come agli album cartacei che oggi trovano spazio in librerie e cassettiere.
Forse, un giorno, i miei figli e nipoti avranno l'occasione di entrare in immensi archivi digitali per guardare tutte queste immagini. Forse cercheranno scatti perfetti, momenti decisivi o inquadrature originali ma probabilmente troveranno solamente memorie di una vita che, in fondo, li riguarderà da vicino. E forse capiranno, come diceva Italo Calvino, che “ogni foto è un ricordo futuro”.
Lorenzo Spettoli, socio fondatore nonchè vicepresidente del CCF