LA PROFONDITA' DI CAMPO
Quando osserviamo le cose con i nostri occhi le vediamo sempre nitide, che siano lontane o vicine (difetti di vista a parte, s’intende). Se stiamo leggendo un libro, tenendolo a una trentina di centimetri da noi, riusciamo a distinguere perfettamente i caratteri stampati. Se spostiamo lo sguardo verso la persona che, a qualche passo da noi, ci ha rivolto la parola, la vediamo perfettamente nitida e se quella persona ci indica il profilo delle montagne sullo sfondo, lontane qualche chilometro, a noi appariranno ugualmente nitide.
Ora provate a fotografare la scena descritta, in modo da comprendere sia il libro che la persona e le montagne sullo sfondo e scoprirete uno degli apparentemente strani segreti della fotografia: o risulterà nitida la pagina del libro e sfocata la persona e ancora di più lo sfondo, oppure nitida la persona e sfocati il libro e anche lo sfondo, oppure ancora nitide le montagne e sfocato tutto il resto. Perché?
Per spiegare il fenomeno descritto, prima ancora di definire i concetti oggetto di questo articolo, dobbiamo capire cosa provoca la maggiore o minore nitidezza delle cose nella loro rappresentazione fotografica.
Sia l’occhio che l’obiettivo delle macchine fotografiche sono niente di più di una lente convergente, che proietta il fascio di luce proveniente dalla scena fisica sull’elemento fotosensibile, retina, pellicola o sensore che siano. Come abbiamo già visto nella puntata dedicata a quest’argomento, la messa a fuoco può essere effettuata, a rigor di termini, solo su un piano, per esempio quello posto a 7 metri dalla fotocamera, ma, nella concretezza della percezione visiva, anche piani più vicini o più lontani di 7 metri risultano nitidi. Ecco: l’ampiezza della fascia che appare nitida viene definita “profondità di campo”. È intuibile che, non essendo questo valore un dato oggettivo ma solamente percettivo, esso viene influenzato da tanti fattori quali, ad esempio, la distanza di osservazione, l’acume visivo dell’osservatore, l’intensità della luce sotto la quale si fa l’osservazione ecc., tant’è vero che per poter “calcolare” la p.d.c. ci si riferisce a tabelle nelle quali viene convenzionalmente stabilito il diametro del cerchio di confusione che viene percepito come un punto. Nella tabella seguente potete trovare la misura convenzionale del massimo c.d.c., che varia a seconda del formato del sensore:
SENSORE | DIMENSIONE IN MM | C.D.C. |
aps-c | 15 x 22,5 mm | 0,016 mm |
full frame | 24 x 36 mm | 0,026 mm |
dorso digitale | 40 x 56 mm | 0,043 mm |
COSA DETERMINA UNA MAGGIORE O MINORE PROFONDITÀ DI CAMPO?
L’ampiezza della zona che ci apparirà riprodotta nitidamente su una data fotografia, la cosiddetta p.d.c., è influenzata da diversi fattori:
- il valore di apertura del diaframma
- la distanza di messa a fuoco
- la lunghezza focale dell’obiettivo
L’APERTURA DEL DIAFRAMMA
Più è aperto il diaframma (numeri piccoli: 5.6, 4, 2.8, 2 ecc.) e meno ampia sarà la p.d.c.
Più è chiuso il diaframma (numeri grandi, 11, 16, 22 ecc) è maggiore sarà la p.d.c.
È una regola assoluta: in qualunque condizione di ripresa la p.d.c. aumenta chiudendo il diaframma!
L’illustrazione che segue mostra il fenomeno:
LA DISTANZA DI MESSA A FUOCO
Anche la distanza di messa a fuoco influenza l’ampiezza della p.d.c., sulla base della seguente relazione:
minore è la distanza di m.a f. e minore sarà la p.d.c. (e viceversa)
Le immagini che seguono illustrano questa relazione:
Messa a fuoco sull’albero - diaframma aperto
Messa a fuoco sull’albero - diaframma chiuso
Messa a fuoco sulla persona - diaframma aperto
Messa a fuoco sulla persona - diaframma chiuso
Messa a fuoco sul fiore - diaframma aperto
Messa a fuoco sul fiore - diaframma chiuso
LA LUNGHEZZA FOCALE DELL'OBIETTIVO
È molto diffusa la convinzione che la profondità di campo aumenti con il diminuire della lunghezza focale dell’obiettivo usato, o, in altri termini, che i grandangoli forniscano una maggiore profondità di campo rispetto ai teleobiettivi.
È una convinzione falsa.
Fotografando un soggetto vicino con un teleobiettivo, con il diaframma tutto aperto, si ottiene un’immagine in cui lo sfondo lontano è nettamente sfocato. Se successivamente, dalla stessa posizione, si regola lo zoom portandolo su valori grandangolari e si scatta un’altra foto, si ottiene un’immagine nella quale lo sfondo appare molto meno sfocato che nella precedente.
Da ciò deriva l’impressione che i grandangoli diano una maggiore profondità di campo ma è un’impressione che non tiene conto del fatto che usando il grandangolo il soggetto viene riprodotto molto più piccolo e questa è la ragione della sua maggiore p.d.c.!
Usare il grandangolo, per quanto riguarda il suo effetto sulla p.d.c., determina un effetto simile a quello che si otterrebbe con una focale più lunga allontanandosi dal soggetto.
E adesso una serie di immagini ... che lascio interpretare a voi lettori!