Z come ZOOM 1° PARTE
Alla domanda che pongo agli allievi dei miei corsi per principianti su cosa significhi, in fotografia, la parola “zoom”, mi sento rispondere nelle maniere più varie e strampalate: “è l’ingrandimento del soggetto”, oppure “è l’avvicinamento o l’allontanamento degli oggetti”, o ancora “è quando non si vuole riprendere delle cose vicine al soggetto”. Raramente viene data la risposta corretta:
LO ZOOM È SEMPLICEMENTE UN TIPO DI OBIETTIVO FOTOGRAFICO, CAPACE DI VARIARE IL PROPRIO ANGOLO DI RIPRESA.
Prima di addentrarci nell’argomento è utile fare una breve premessa di carattere storico.
Fino agli anni ’80 del secolo scorso tutti i fotografi, me compreso, utilizzavano quasi sempre obiettivi a focale fissa in quanto i pochi zoom (ottiche a focale variabile), disponibili sul mercato fornivano una qualità ottica scadente con costi, ingombri e pesi da non invogliare all’acquisto. L’utilizzo degli obiettivi a focale fissa prevedeva che il fotografo, quando decideva che per fare una certa foto era utile o necessario un angolo diverso da quello fornito dall’obiettivo in uso in quel momento, doveva fermarsi, aprire la borsa, sostituire l’ottica e finalmente rifare l’inquadratura e scattare.
La diffusione degli zoom che, da un certo punto in poi, hanno quasi totalmente soppiantato le ottiche fisse, se da un lato ha indubbiamente costituito una comodità per i fotografi, grazie a minor ingombro, peso e macchinosità operativa, da un altro punto di vista ha contribuito a generare dei vizi comportamentali e una perdita di consapevolezza che, a mio avviso, ha impoverito e appiattito la pratica fotoamatoriale. Entriamo nel merito.
Ciò che è ignoto a molte persone è che la regolazione dello zoom non determina solamente una variazione dell’ampiezza della scena inquadrata ma anche il modo in cui la stessa scena viene rappresentata dalla fotografia. Più precisamente: ogni variazione di angolo di ripresa causa una modifica della resa prospettica, cioè quella componente della visione e della rappresentazione bidimensionale che restituisce la profondità della scena.
“I cipressi che a Bolgheri alti e schietti, van da San Guido in duplice filar…”
Ognuno di noi sa che i cipressi Carducciani, sono tutti, più o meno, della stessa altezza ma ciononostante li percepiamo sempre più piccoli, man a mano che si allontanano da noi. Questa percezione prospettica, che non corrisponde a un dato reale, è lo strumento che la natura ci ha fornito per permetterci di valutare la distanza delle cose, la profondità dello spazio in cui ci muoviamo.
Anche in fotografia la prospettiva fa sì che gli spigoli degli edifici convergano verso l’alto, che le rotaie del treno si avvicinino fino a toccarsi, che gli alberi del viale diventino sempre più piccoli, ma lo può fare con una intensità variabile a seconda dell’angolo di ripresa dell’obiettivo in uso. L’obiettivo cosiddetto “normale” (50 mm per le macchine full-format, 30/32 mm per le reflex APS) produce un effetto prospettico analogo a quello della percezione dei nostri occhi.
Diversamente un obiettivo grandangolare esaspera la prospettiva, fa sembrare la scena più profonda di quanto sia, fa convergere le linee parallele più di quanto non succeda guardando la scena dal vivo.
All’opposto il teleobiettivo genera una compressione dell’effetto prospettico, via via più intensa quanto maggiore è la sua lunghezza focale, dando l’impressione che i vari piani della scena siano più vicini fra loro di quanto siano in realtà.
Ne deriva una conseguenza e un’opportunità sul piano tecnico ed espressivo di grande portata, che il fotografo deve conoscere e utilizzare con discernimento e consapevolezza.
Osservate i tre esempi che seguono.
La serie di immagini mostra quanto possa essere diverso il risultato nel riprendere un soggetto da distanza ravvicinata con l’uso di un obiettivo grandangolare, oppure da maggiori distanze ma con l’uso di focali più lunghe. In particolare si noti come il soggetto in primo piano (leone in pietra) abbia le stesse dimensioni ma risulti maggiormente ed efficacemente “contestualizzato” dal grandangolo generando una fotografia che descrive, oltre al soggetto principale, anche un’ampia porzione dello spazio urbano che lo ospita, al contrario di quanto succede nella terza immagine nella quale la "scenografia" in cui è inserita la scultura si è ridotta a uno scorcio.
Il discernimento e la consapevolezza cui accennavo poco fa riguardano proprio queste diverse capacità e propensioni dei vari obiettivi. Un fotografo non può permettersi di ignorarle e di usare lo zoom solo per risparmiarsi qualche passo avanti o indietro. La regolazione dello zoom, che significa regolazione della forza prospettica, è un potente strumento espressivo in grado di far aderire più efficacemente la fotografia agli intenti dell’autore.
Fine della prima parte.